È possibile INVESTIRE in modo SOSTENIBILE e RESPONSABILE?

Perché si parla di investimenti sostenibili? I nuovi temi ESG rischiano di distrarre dall’obiettivo di lungo termine di un investimento, oppure è giusto che vengano considerati e possono addirittura migliorare le performance? 


Nell’articolo di oggi approfondiremo quello che è stato il tema principale degli ultimi anni e che lo sarà sempre di più nel tempo: l’attenzione verso la salvaguardia dell’ambiente e come questa incontra la finanza. 

L’idea ci è venuta leggendo la newsletter dei nostri amici di Vaneck, con i quali questo contenuto è in collaborazione e di cui vi lasciamo il link per iscrivervi gratuitamente per essere sempre aggiornati sul mondo della finanza.


La domanda che ci siamo posti è: investire in maniera sostenibile è supportato da delle performance positive, o è più da vedere come una sorta di beneficenza? Come sapete da bravi ingegneri poniamo particolare attenzione ai risultati concreti e cerchiamo di essere quanto più razionali possibili, ma in questi casi non è sempre semplice.


Dunque, sul perché si parli così tanto di sostenibilità non serve una spiegazione. Piuttosto dovremmo interrogarci su cosa intende il mondo della finanza con questo termine. In questo senso, abbiamo imparato a conoscere l’acronimo ESG che sta per:

  • Environmental
  • Social
  • Governance

Se i primi due punti sono autoesplicativi, lo stesso non si può dire per la governance: formalmente misura e tiene conto di come viene gestita un’impresa. A cosa pone attenzione? Ad elementi come la trasparenza in tutte le sue sfaccettature, dunque trasparenza nei bilanci ma anche nei confronti degli investitori e delle autorità di vigilanza, per passare poi alla responsabilità e agli obiettivi di un’impresa.


Nel momento in cui ci si vuole affacciare al mondo degli investimenti sostenibili sorge un problema: come stabilire se una società rispetta questi criteri oppure no? In caso positivo, come si può quantificare l’applicazione di questi principi per fare dei confronti? 

Possono sembrare domande banali ma dietro ci sono dibattiti ancora molto aperti. Infatti non ci si può chiaramente basare sulla soggettività sia perché pecca in termini di qualità dell’analisi, ma soprattutto perché non permette di standardizzare il processo e trovare un modo che metta d’accordo tutti per valutare l’impegno verso i temi ESG di una compagnia.

Per questo ci si affida spesso a famose agenzie di rating che hanno il compito, oltre a valutare la stabilità e solidità delle imprese, di misurare l’impegno ambientale. In base ai loro studi affidano dei punteggi che facilitano anche la fase di confronto tra imprese per vedere quali stiano dando più importanza a questi fattori.


Partendo proprio da questi punteggi sono stati creati anche dei veri e propri indici ed ETF che replicano l’andamento di quelle società che hanno ottenuto un punteggio più elevato. Se da un lato permettono di puntare sulle compagnie più “virtuose”, dall’altro rischiano di preferire alcune società ad altre per via del rating, a discapito di dati fondamentali come i bilanci. 


Sorge quindi un altro problema: basandosi sui bilanci, per molti investitori è più "semplice" individuare la compagnia migliore. Basandosi esclusivamente sui punteggi di rating, invece, la situazione si complica, oltre a non considerare il fatto che le società confrontate potrebbero essere state valutate da agenzie diverse con metodologie differenti.


Ma quindi, come bisogna muoversi per impiegare il proprio denaro in modo sostenibile ed etico? Le strade possibili sono principalmente 2:


Selezionare attivamente le azioni di compagnie che per il rating, o per una valutazione soggettiva, sembrano green. Questo però comporta 2 ulteriori problemi:

  • Da un lato, richiede comunque competenze in ambito di analisi fondamentale, lettura dei bilanci e confronto tra più compagnie, elementi tutt’altro che scontati.
  • Dall’altro, ci sono molte compagnie che, seppur attentissime ai fattori ambientali e che per qualche anno hanno dominato i mercati, sembrano essere cadute nel dimenticatoio. Giusto per citare un esempio, Beyond Meat, la famosissima società che si occupa di realizzare sostituti alla carne che ne condividano il sapore, nel giro di pochi mesi da quando si era quotata aveva realizzato una performance straordinaria del +257%. A distanza di 3 anni e mezzo, però, si trova a -96% dai massimi e -87% dal prezzo di quotazione. Come mai? Senza addentrarci nello specifico della singola azione, ci sono caratteristiche che accomunano molte compagnie attive in ambito ESG: sono fortemente influenzate da eventuali normative, sono spesso società growth (con tutte le conseguenze del caso) e hanno una comunicazione molto spinta sull’impatto ambientale piuttosto che sul prodotto in quanto tale. Tutti questi fattori distolgono l’attenzione dal reale prodotto o servizio che offre l’impresa a discapito di una visione ideale del mondo: nel momento però in cui questa viene a mancare, e dietro non c’è un bene valutato positivamente dagli azionisti, il castello rischia di crollare.

 

Vista l’enorme difficoltà nel valutare e selezionare società che rispettino i criteri ESG, sono stati creati degli indici e degli ETF basati su questi. Ad esempio il Circular Economy ETF di Vaneck è basato sull’indice MVIS®Global Circular Economy ESG, il quale traccia 30 società che hanno una capitalizzazione di almeno 150 milioni di $ e dove almeno il 50% delle loro entrate deve provenire da attività come la purificazione dell’acqua, la gestione dei rifiuti e la produzione di energia a partire da questi.

Di fatto se diamo un’occhiata alla principali società presenti nel fondo troviamo compagnie attive nella raccolta e gestione dei rifiuti, produzione di imballaggi e fornitura di acqua.

 

Così come per i classici ETF, anche quelli sostenibili si possono basare su diversi indici. Per vedere un esempio diverso da quello già citato, l’ETF Sustainable World Equal Weight di Vaneck replica l’indice Solactive Sustainable World Equity che, tra le altre cose, esclude a priori settori come la produzione di armi, prodotti chimici, tabacco e alcol. 

 

Torniamo alla domanda iniziale: va bene essere apposto con la coscienza, ma investire su questa tipologia di ETF negli ultimi anni avrebbe portato qualche risultato anche a livello economico, o avrebbero sottoperformato il mercato? E in termini di volatilità come cambia la situazione? Gli analisti di J.P. Morgan hanno effettuato uno studio con dei backtest e questo è quello che è emerso.

 

Partiamo da un grafico: come notiamo, negli ultimi anni i prodotti che dichiaravano di soddisfare i criteri ESG hanno visto una crescita delle vendite più elevata rispetto ai prodotti classici.

Sicuramente questo è dovuto sia alle nuove regolamentazioni che spingono affinché i prodotti siano in un certo senso sostenibili, sia al fatto che molte imprese attive in questo campo non sono enormi e dunque possono aumentare le vendite ad un ritmo più veloce rispetto ai colossi.

 

Questa maggiore crescita delle vendite può avvantaggiare i portafogli maggiormente esposti alle società attive in ambito ESG? Vediamolo da diversi punti di vista:

  • Gestione del rischio: un’azienda che gestisce il proprio impatto ambientale può evitare sanzioni normative o danni alla reputazione. Inoltre, una solida struttura di governance può aiutare a prevenire scandali e operazioni poco etiche.
  • Costi: le compagnie attive in questo campo devono spesso sostenere ingenti costi iniziali, che nel lungo periodo possono trasformarsi in risparmi, ma che nel breve non sono adatti a tutti. Per quanto riguarda l’aspetto Social, invece, imprese che spendono molto per il benessere dei dipendenti potrebbero avere un turnover inferiore e attrarre più talenti, aumentando così la produttività.
  • Accesso al capitale: alcuni emittenti di credito stanno iniziando a tenere in considerazione non solo i bilanci dei debitori, ma anche il loro impegno ambientale, ad esempio valutando il rating. Coloro che hanno dei buoni bilanci e risultano virtuose, potrebbero avere accesso al credito a costi inferiori. Attenzione però che se sono imprese nate da poco, proprio per via dei costi sopracitati, potrebbero non avere dei bilanci abbastanza soddisfacenti per i finanziatori

Come vediamo c’è sempre un trade off tra i vantaggi di cui godono e le difficoltà che devono affrontare le imprese che vogliono essere sostenibili.

 

Passiamo finalmente a quello che molti di voi stavano aspettando: un confronto della performance dei fondi ESG, che selezionano o escludono determinate categorie di imprese, rispetto a quelli tradizionali.

Morgan Stanley ha condotto uno studio su quasi 11.000 fondi di investimento in un lasso temporale che va dal 2004 al 2018 basandosi sui dati di Morningstar: ecco cosa è emerso. Non c’è stata alcuna differenza statisticamente significativa nei rendimenti totali tra fondi sostenibili e fondi tradizionali. Tuttavia, hanno anche scoperto che i fondi sostenibili hanno subito una volatilità e un rischio inferiore del 20% rispetto ai fondi tradizionali, proprio per via di quello che dicevamo prima.

Quest’analisi è un buon punto di partenza, ma non soddisfacente. Primo perché si ferma al 2018, quando l’attenzione alla sostenibilità diventa ogni anno maggiore. Inoltre proprio da questo studio è sorto un nuovo problema: è molto difficile fare backtest su fondi o società ESG a causa della mancanza di dati storici. È vero che sono diversi anni che sentiamo parlare di questi temi, ma già trovare dati di 20 anni fa è complicato: figuriamoci fare backtest di diversi decenni, come di solito accade.

 

Allora abbiamo ampliato un po’ lo sguardo e non ci siamo soffermati solo sulle società che soddisfano i criteri ESG, ma abbiamo cercato dati sull’intero impact investing, ovvero quei tipi di investimenti effettuati con lo scopo di generare un impatto sociale e/o ambientale insieme ad un ritorno finanziario. I dati che abbiamo trovato sono molto interessanti.

Come potete vedere dal grafico qui sotto, da uno studio di ESG Book risulta che i portafogli che hanno perseguito questo obiettivo tra il 2017 e il 2022 hanno sovraperformato il benchmark in tutte le zone del mondo: la differenza maggiore si è registrata in Europa.

Da questo grafico dunque sembra che non si tratti solo di “fare del bene” all’ambiente, ma anche di ottenere mediamente performance migliori rispetto ai classici indici azionari. La domanda è: sarà così anche nei prossimi anni, o si tratta di un trend momentaneo?

 

Okay ragazzi siamo arrivati alla fine dell’articolo di oggi. Abbiamo riscontrato non poche difficoltà nel trovare i dati su questo tema ma finalmente abbiamo una panoramica più chiara su quelli che secondo molti saranno gli investimenti del futuro, con i relativi pro e contro.

 

Vi ricordiamo l’iscrizione gratuita alla newsletter dei nostri amici di Vaneck se volete essere sempre aggiornati sul mondo della finanza e trovare spunti interessanti, come quelli analizzati oggi, e noi ragazzi ci vediamo alla prossima!

 

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